in Domum Tuam

HOMO VIATOR

2. L’uomo che per primo alzò gli occhi a contemplare la volta celeste sperimentò subito la diretta rivelazione della trascendenza. Il cielo, alto, immutabile, infinito e potente divenne segno dell’ineffabile e altrimenti inimmaginabile Mistero, da cui ogni cosa, e l’universo intero, dipendono.
Si impresse come simbolo potente, determinò il sentire e il pensare: ogni volta che gli volgono gli occhi gli uomini ravvivano in se stessi il desiderio di un bene ormai lontano, di una pace con Dio sperimentata all’origine e, altrettanto all’origine, tradita e poi nuovamente offerta come alleanza, possibilità, meta.
Vi era certo stato un tempo in cui gli uomini avevano visto Dio faccia a faccia, da creature a Creatore: perduta tale famigliarità, fu necessario un diverso cammino, e il primo segno all’uomo caduto fu il cielo stesso, immagine dell’onnipotente Creatore. E guardando il cielo, e le stelle nel loro perenne cammino, gli uomini hanno immaginato se stessi come eternamente pellegrini alla ricerca del centro.
L’eterno Padre inviò poi il suo Figlio diletto, affinché il pellegrinare umano toccasse la sua meta, e fosse riaperta la strada per tornare a Lui. Il Figlio è la Via, e rimane con gli uomini. Per questo nelle cupole delle loro chiese i cristiani hanno affermato che la via è riaperta, e il cielo è alla portata di tutti.
Ma il cammino è ugualmente lungo, perché molto ci si era allontanati: e la vita è come un viaggio, e il viaggio è come un labirinto di prove e scelte, cui soccorre Cristo, compagno di strada e primo pellegrino con noi, per tornare al cielo e alla casa dell’eterno Padre. Sono tutti cammini: le cupole col loro giro di stelle, i labirinti da percorrere ritualmente (materialmente o metaforicamente), i grandi disegni pavimentali che conducono i piedi del corpo fino agli altari e alle absidi che sono figure del paradiso. Cammini, in cui l’agire del corpo è supporto alla comprensione di sé, del senso della vita e del Destino.
Da sempre in ricerca della fonte della vita, gli uomini l’avevano cercata nei luoghi dove il Mistero da cui tutto dipende, il sacro, si era reso incontrabile con meraviglie e prodigi.

3. I cristiani, che incontrano in Cristo il centro del sacro, hanno sempre desiderato stare là dove Lui è vissuto: hanno cercato quindi i luoghi della sua vita terrena, la terra santa toccata dai suoi piedi, e i luoghi dove sono reliquie e memorie dei suoi santi, coloro che lo hanno perfettamente imitato e sono insieme modelli di vita, patroni ed intercessori.
Gerusalemme fu distrutta da Tito nel 170, e sulle sue rovine fu costruita Ælia Capitolina. Ma sant’Elena, la madre dell’imperatore Costantino, nel IV secolo ritrovò i luoghi santi; là sorsero le grandi basiliche che celebravano i momenti della vita di Cristo, e verso di esse subito iniziarono i pellegrinaggi.
In Roma, già prima di Costantino e del suo editto che nel 313 diede ai cristiani libertà di culto, si era soliti recarsi presso le sepolture dei martiri, testimoni fino a dare la vita ad imitazione di Cristo, primo martire e testimone fedele del Padre. Ad essi si chiedeva protezione ed intercessione, e la forza di imitarli nella testimonianza. In particolare ci si recava alle sepolture di Pietro e di Paolo, delle quali, già alla fine del III secolo, ci si vantava come di gloriose reliquie. A Roma poi era custodito il velo della Veronica, vera immagine di Cristo non fatta da mano d’uomo.
Al contatto con le preziose reliquie si aggiungeva la grazia dell’indulgenza. Questa consiste nel condono della pena che ognuno dovrebbe scontare per i peccati commessi: di fatto accorcia il tempo della lontananza da Dio. Era ed è ambitissima, in particolare l’indulgenza plenaria, che toglie tutta la pena e garantisce, in caso di morte, l’immediata accoglienza nel seno del Padre.
L’indulgenza plenaria era concessa in occasioni e luoghi molto speciali: si diffuse la voce che sarebbe stata concessa a chi avesse venerato la tomba di Pietro al passaggio tra il XIII e il XIV secolo, cioè il giorno di Natale del 1299 (allora inizio dell’anno civile 1300). A Roma dunque si riversarono folle di pellegrini: papa Bonifacio VIII seppe ascoltarli, e il 22 febbraio 1300, festa della Cattedra di san Pietro, promulgò l’Anno della grande Perdonanza («plenissima venia»), che venne poi detto Giubileo. Ogni venerdì e domenica veniva esposta la Veronica; i pellegrini compivano un itinerario di fede, che presto si definì nel giro delle quattro basiliche maggiori: San Pietro, San Paolo fuori le mura, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore.
Nel 1475, quando si celebrò il settimo Giubileo indetto da papa Sisto IV, lo si chiamò per la prima volta Anno santo, e si fissò l’intervallo di 25 anni fra un giubileo e l’altro.
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