Dimensioni dello spazio
Percorrendo qualunque territorio pianeggiante (formiginese, padano,
europeo) e osservandolo con calma, senza distrazione, si può
notare la doppia struttura che sempre lo caratterizza: l'intreccio
inestricabile fra elementi naturali, più o meno modificati
(l'andamento del terreno, la vegetazione, i corsi d'acqua, le colture),
e strutture costruite dall'uomo (il reticolo stradale, gli edifici, gli
altri manufatti).
Ma proviamo a penetrare precisamente nel territorio formiginese, e
osserviamo. In molti punti spicca, nella prevalente
orizzontalità del paesaggio descritta da linee e fasce verdi,
gialle e brune, la presenza di qualche elemento verticale: potrà
essere un pioppo, o un filare di pioppi, o qualche grande quercia. Ed
ecco davanti ai nostri occhi, ogni volta, una percezione suggestiva
quanto elementare delle due dimensioni della realtà: quella che
fa sollevare lo sguardo fino a raggiungere la sommità
dell'albero immersa nelle profondità del ciclo infinito, e
quella che fa volgere gli occhi lateralmente, quasi ad abbracciare e
misurare il più possibile quella porzione di crosta terrestre.
Homo religiosus
Una tale percezione spaziale — e insieme spirituale — forse
non è molto dissimile, nel suo nucleo essenziale, da quella
provata in qualche luogo, per la prima volta decine di migliaia di anni
or sono, dai nostri lontanissimi progenitori; da quell'
homo abilis
che, dopo essersi variamente impratichito con molte cose inerenti la
vita pratica orizzontale, a un certo punto, forse volgendo lo sguardo
alla volta celeste, scopre la dimensione verticale e si solleva in
piedi (
homo erectus), assumendo così la sua vera configurazione
di essere terrestre proteso all'infinito.
La progressiva acquisizione di consapevolezza di tale condizione lo
porterà a scoprire via via la realtà tutta come
linguaggio segnico rivelatore del divino, e a tentare di porsi in
rapporto con esso attraverso la realtà stessa: nasce l'
homo
religiosus, la specie cui apparteniamo. Risale probabilmente a quel
tentativo la consuetudine di collocare, in determinati punti del
territorio e in particolari momenti dell'esistenza, oggetti a
configurazione verticale con significati memorativi, simbolici,
sacrali. Tale consuetudine è ampiamente documentata dai menhir,
dai dolmen coi loro recinti sacri, dalle stele, dai totem, dagli idoli,
dalle erme, dai graffiti di cui quasi tutte le civiltà primigene
hanno lasciato tracce; in vari punti ne fa menzione dettagliata, e non
a caso, lo stesso racconto biblico dell'Antico Testamento.
Essere religioso e cercare di esprimere in vari modi, con varie forme e
linguaggi, un rapporto con il Mistero, con l'Al-di-là, con
l'Altro, con il Dio, è un dato proprio della natura umana in
quanto tale — di ogni tempo e luogo — con cui bisogna
comunque fare i conti. Non è affatto espressione di una fase
inferiore, infantile, provvisoria, quasi patologica della vita
dell'umanità, destinata al superamento grazie all'inevitabile
progredire della civiltà umana, come insiste a ritenere,
nonostante le ripetute e drammatiche smentite ricevute dai fatti, un
certo filone, a volte dominante, del pensiero moderno e —
più banalmente — dell'opinione corrente. Si tratta invece
di un fattore costitutivo, strutturale della coscienza umana...